Locazioni abitative: i patti contrari alla legge

Locazioni abitative: i patti contrari alla legge

Nei precedenti articoli, spesso è capitato che si utilizzasse l’espressione “salvo patto contrario”.

Qualche lettore interessato alla materia ha chiesto quale fosse la portata del patto contrario e, soprattutto, se qualunque previsione del Legislatore fosse derogabile per mezzo di uno specifico patto contrario. 

Va detto che effettivamente è lasciata una certa libertà contrattuale alle parti che si accingono a stipulare un contratto di locazione ad uso abitativo. In alcune tipologie contrattuali questa libertà è più evidente, ad esempio nelle locazioni turistiche esaminate la settimana scorsa, ed in altre meno.

Occorre precisare che, tuttavia, esistono dei precisi limiti che lo stesso Legislatore qualifica come inderogabili e quindi sottratti alla libertà contrattuale delle parti.

Alcune clausole che le parti, pur nella loro autonomia negoziale, non possono inserire nel contratto di locazione sono quelle contrarie alla legge e, qualora presenti, vanno considerate come nulle, ferma restando l’efficacia delle altre clausole contrattuali non viziate.

L’art. 13 della Legge n. 431 del 1998, rubricato “patti contrari alla legge”, al comma 1 sancisce la nullità di qualsiasi pattuizione volta a determinare un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. Al successivo comma 3 è sancita anche la nullità di ogni pattuizione volta a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti dalla legge 431/1998 stessa.

Per i contratti regolamentati, il comma 4 stabilisce la nullità di qualsiasi patto volto a superare il canone massimo così come individuato in sede locale.

La seconda parte del quarto comma, poi, in relazione ai contratti liberi sancisce la nullità di “qualsiasi obbligo de conduttore nonché qualsiasi clausola o altro vantaggio economico o normativo diretti ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito.

Tra le ipotesi di patti contrari alla legge sopradescritte, quella che più si è prestata ad interpretazioni differenti è proprio quella avente ad oggetto un canone superiore rispetto a quello risultante dal contratto scritto e registrato di cui al comma 1, art 13 L. 431 del 1998.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 19568 del 2004 ha confermato l’orientamento della precedente n. 16089 del 2003 con cui è stato precisato che la nullità dei patti volti a determinare un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto, in riferimento sia ai contratti liberi che a quelli regolamentati, sia diretta a colpire esclusivamente le pattuizioni per mezzo delle quali le parti si accordino per aumentare l’importo del canone originario nell’arco di durata della locazione.

Con ciò sarebbero affette da nullità, pertanto, solo le pattuizioni successive alla sottoscrizione del contratto e non quelle ad essa contemporanee.

Ad ogni modo, a parere di chi scrive, è doveroso rilevare che l’art. 13 citato sanzionerebbe le previsioni contrattuali contrarie alla legge solo ed esclusivamente in materia di misura del canone e di durata della locazione, con la conseguenza che sarebbero derogabili, con l’accordo delle parti, tutte le altre disposizioni non prettamente pubblicistiche come, invece, le due precedenti.

Le conseguenze della nullità delle clausole contrarie alla legge e la procedura idonea a farle rilevare sarà oggetto del prossimo articolo.

© Avv. Michele De Bellis, 22 luglio 2008,